I rischi connessi con l’acquisto e la cessione di crediti fiscali derivanti da bonus edilizi.
A seguito dell’esecuzione di lavori in alcuni condomini le imprese edili sono divenute titolari di crediti di imposta nei confronti dell’Agenzia delle Entrate, disciplinati dal decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34 e s.m.i., convertito, con modificazioni, dalla legge 17 luglio 2020, n. 77 e s.m.i..
In particolare detti crediti sono maturati in capo alle imprese tramite il c.d. “sconto in fattura” (così come previsto dalla opzione di cui all’art. 121 lett. a del citato decreto), da parte di vari condomini e proprietari di unità immobiliari.
La cessione dei crediti d’imposta a terzi permette infatti di trasformare in moneta sonante il proprio bonus fiscale, alla stregua di un vero e proprio strumento di finanziamento indiretto.
Dette imprese sono, quindi, interessate a cedere i propri crediti a soggetti terzi che vogliono fruire al loro posto della compensazione fiscale prevista dalla normativa.
I – La documentazione
Il contratto di cessione di credito da stipulare presuppone la verifica della completezza formale della documentazione fornita dall’impresa cedente; il rilascio di una “Reliance Letter”; il supporto nella fase di contrattualizzazione con l’impresa cedente.
A – Per quanto riguarda la documentazione oggetto di due diligence la società acquirente deve prestare molta attenzione assumendosi il rischio di eventuali inadempimenti dell’impresa cedente;
B – Per quanto attiene al contratto di cessione del credito occorre verificare se tale cessione è effettuata pro soluto o pro solvendo.
Il pro soluto è conveniente per chi cede il credito, perché si libera anche da tutte le incombenze relative all’eventuale inadempienza del debitore.
Tuttavia è opportuno evidenziare che in relazione alla cessione a titolo oneroso del credito, l’art. 1266, comma 1, c.c. dispone che “il cedente è tenuto a garantire l’esistenza del credito al tempo della cessione”, potendo la garanzia essere esclusa pattiziamente dalle parti, ma mai per il fatto proprio del cedente.
In merito all’applicazione di questa norma, la Corte di Cassazione ha confermato che “la cessione di un credito inesistente è valida, onde il cessionario è tenuto al pagamento del prezzo, che non diviene indebito, nel contempo godendo della “garanzia” ex lege che è accessoria, costituisce un effetto naturale del contratto ed ha la funzione di assicurare comunque il ristoro dell’interesse positivo del cessionario alla cessione, nei casi in cui l’effetto traslativo del contratto manchi, totalmente o parzialmente, a causa dell’inesistenza, completa o in parte, del credito o per altro impedimento equipollente (es. mancanza di legittimazione del cedente o nullità del credito)”. Cass. Civ., Sez. I, 17 novembre 2022, n. 33957.
Una volta verificata la assoggettabilità alla liquidazione giudiziale è possibile che venga richiesta la revocatoria prevista dall’art. 166 del Codice della crisi che dispone: “Sono revocati, salvo che l’altra parte provi che non conosceva lo stato d’insolvenza del debitore:
- a) gli atti a titolo oneroso in cui le prestazioni eseguite o le obbligazioni assunte dal debitore sorpassano di oltre un quarto ciò che a lui è stato dato o promesso, se compiuti dopo il deposito della domanda cui è seguita l’apertura della liquidazione giudiziale o nell’anno anteriore;
- b) gli atti estintivi di debiti pecuniari scaduti ed esigibili non effettuati con danaro o con altri mezzi normali di pagamento, se compiuti dopo il deposito della domanda cui è seguita l’apertura della liquidazione giudiziale o nell’anno anteriore;
- c) i pegni, le anticresi e le ipoteche volontarie costituiti dopo il deposito della domanda cui e’ seguita l’apertura della liquidazione giudiziale o nell’anno anteriore per debiti preesistenti non scaduti;
- d) i pegni, le anticresi e le ipoteche giudiziali o volontarie costituiti dopo il deposito della domanda cui e’ seguita l’apertura della liquidazione giudiziale o nei sei mesi anteriori per debiti scaduti.
- Sono altresì revocati, se il curatore prova che l’altra parte conosceva lo stato d’insolvenza del debitore, i pagamenti di debiti liquidi ed esigibili, gli atti a titolo oneroso e quelli costitutivi di un diritto di prelazione per debiti, anche di terzi, contestualmente creati, se compiuti dal debitore dopo il deposito della domanda cui è seguita l’apertura della liquidazione giudiziale o nei sei mesi anteriori”.
II – Solidità economica e patrimoniale delle imprese cedenti
E’, quindi, necessario ottenere precise informazioni sulle imprese cedenti in ordine alla loro solidità economica e patrimoniale come, ad esempio, la verifica di alcuni requisiti quali:
- il rapporto tra eventuali perdite nette/patrimonio netto < del 50%;
- il rapporto in Centrale Rischi tra eventuali sconfinamenti cassa/accordato totale < del 20%;
- l’assenza in Centrale Rischi di segnalazioni a sofferenza.
Tali verifiche potrebbero diminuire il rischio di vedersi revocare ka cessione del credito nel caso di successiva sottoposizione dell’impresa cedente ad una procedura concorsuale.
Il nuovo Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza disciplina gli effetti della Liquidazione giudiziale (ex fallimento) sugli atti pregiudizievoli ai creditori.
Il fondamento, che sta alla base delle norme (art.163-171 CCII) che disciplinano gli atti pregiudizievoli, è che l’attivo che può essere posto a soddisfazione dei creditori non dev’essere unicamente quello che si trova nel patrimonio del debitore al momento della procedura di liquidazione giudiziale bensì, deve ricomprendere anche i beni e i diritti fuoriusciti dal patrimonio anteriormente.
Innanzitutto occorre che l’impresa cedente sia assoggettabile alle norme sulla liquidazione giudiziale (ex procedura fallimentare) che si applicano agli imprenditori commerciali che siano in stato di insolvenza e che non dimostrino il possesso congiunto dei seguenti requisiti:
- un attivo patrimoniale di ammontare complessivo annuo non superiore ad euro trecentomila nei tre esercizi antecedenti la data di deposito della istanza di apertura della liquidazione giudiziale o dall’inizio dell’attività se di durata inferiore;
- ricavi, in qualunque modo essi risultino, per un ammontare complessivo annuo non superiore ad euro duecentomila nei tre esercizi antecedenti la data di deposito dell’istanza di apertura della liquidazione giudiziale o dall’inizio dell’attività se di durata inferiore;
- un ammontare di debiti anche non scaduti non superiore ad euro cinquecentomila; i predetti valori possono essere aggiornati ogni tre anni con decreto del Ministro della giustizia.
III – Rischi di frode
Diverso è il caso della sottoposizione dell’imprese cedente a procedure di stampo penalistico che hanno come presupposto la frode nei confronti dello Stato.
Infatti in presenza di frode riguardante la spettanza dei bonus fiscali in capo ai beneficiari originari, è legittimo disporre il sequestro preventivo dei corrispondenti crediti d’imposta, anche se i cessionari siano estranei al reato e, nell’acquistarli, abbiano agito con buona fede.
La Corte di Cassazione è intervenuta su ipotesi acclarate di frodi nei confronti dello Stato per fatturazione di operazioni inesistenti, ossia di lavori agevolati non eseguiti: si tratta, quindi, di esistenza “a monte” di reati fiscali di carattere penale.
In tali casi (si veda la Sentenza n.40867/2022), può essere disposto il “sequestro preventivo impeditivo”, che qualora “la libera disponibilità della cosa pertinente al reato possa aggravare o protrarre le conseguenze del reato o agevolare la commissione di altri reati” (in senso sostanzialmente conforme le sentenze della Corte di Cassazione n. 40865/2022, n.40866/2022, n.40868/2022 e n.40869/2022).
A differenza del “sequestro anticipatorio preordinato alla confisca”, che presuppone la responsabilità del cessionario, il “sequestro preventivo impeditivo” non richiede un collegamento tra il reato e il suo autore, ma il semplice “collegamento tra il reato e la cosa”, così da potersi applicare anche con riferimento ai crediti da bonus edilizi, compreso il 110%, qualora sia avviata una procedura d’accertamento sulla frode “a monte” in capo al beneficiario originario della detrazione.
I crediti ceduti costituiscono un’evoluzione del diritto alla detrazione e, pertanto, devono considerarsi comunque “cosa pertinente al reato” che ha coinvolto il beneficiario originario del bonus.
Possono, quindi, essere oggetto di sequestro cose (crediti d’imposta) di proprietà di un terzo in buona fede (cessionario), se la loro disponibilità sia idonea a configurare un pericolo per il protrarsi o per l’aggravamento del reato.
Inoltre, le disposizioni di carattere fiscale, che limitano la responsabilità solidale del cessionario alla sola ipotesi di concorso in violazione nel reato (art.121, co.4-6, DL 34/2020-legge 77/2020), non escludono comunque il ricorso al “sequestro preventivo impeditivo”, in quanto la norma penale non viene derogata dalla disposizione tributaria.
Ciò detto, anche in questo caso occorre fare una valutazione tra la possibilità che questo accada e la probabilità che questo accada.
E’ evidente che il rischio diminuisce fino ad annullarsi se le imprese cedenti sono serie, solide e garantiscono la regolare ed effettiva esecuzione dei lavori e i corretti adempimenti nella procedura di cessione dei crediti.
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