Il diritto dei figli al mantenimento e il correlato obbligo in capo ai genitori si iscrivono nel più ampio catalogo dei diritti dei figli enunciato dall’art. 147 c.c., oltreché, sotto il profilo dei doveri genitoriali, dal testo costituzionale, che ricomprende, accanto al diritto in esame, quelli all’istruzione, all’educazione e all’assistenza.
L’obbligo di mantenimento dei figli comprende l’obbligo di fornire loro quanto necessario per la vita di relazione nel contesto sociale in cui sono inseriti, in proporzione alla disponibilità dei genitori. La norma ha copertura costituzionale, essendo previsto all’art. 30 Cost. che è dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli anche se nati fuori dal matrimonio. Infatti, in caso di separazione dei coniugi o cessazione della convivenza sussiste l’obbligo di mantenimento dei figli minori e di quelli maggiorenni non indipendenti economicamente.
Tale obbligo si sostanzia nella corresponsione di un assegno periodico, denominato assegno di mantenimento, la cui durata è subordinata al raggiungimento, da parte del beneficiario, dell’autosufficienza economica.
Il genitore non può sottrarsi a tale obbligazione nei confronti del figlio, essendovi tenuto a provvedere sin dal momento della nascita. L’obbligo dei genitori di mantenere i figli sussiste, infatti, per il solo fatto di averli generati e non viene meno neanche laddove il genitore venisse dichiarato decaduto dalla responsabilità genitoriale.
Tale obbligo dei genitori di concorrere al mantenimento dei figli non cessa con il raggiungimento della maggiore età da parte di questi ultimi, ma perdura, fino al raggiungimento dell’autosufficienza economica.
Il genitore non può decidere autonomamente di smettere di versare l’assegno di mantenimento o di ridurre il relativo importo: solo il giudice ha il potere di revocare/modificare l’obbligo di mantenimento. È importante ricordare che i figli minori e quelli affetti da disabilità grave hanno sempre diritto al mantenimento.
Nel nostro ordinamento non esiste un limite di età prestabilito oltre il quale il genitore non è più tenuto a provvedere al mantenimento dei figli. Tuttavia, ciò non vuol dire che i figli siano destinatari “in eterno” di tale diritto. Sarà il Giudice, di volta in volta investito della richiesta di revoca/modifica del mantenimento da parte del genitore obbligato, a stabilire caso per caso se siano venuti meno i presupposti per l’erogazione del contributo.
In particolare, l’Autorità Giudiziaria deve esaminare attentamente se il figlio maggiorenne dimostri o meno una reale incapacità di provvedere autonomamente al proprio sostentamento, nonché il grado di impegno del figlio nel perseguire un’adeguata preparazione professionale o nella ricerca di un’occupazione.
Il cambio di rotta
In passato, l’orientamento prevalente della giurisprudenza stabiliva che si potesse parlare di autosufficienza economica del figlio maggiorenne quando lo stesso percepisse un reddito corrispondente, secondo le condizioni normali e concrete di mercato, alla professionalità da esso acquisita.
La giurisprudenza più recente, ha mostrato un cambio di rotta, sancendo la necessità di accertare il comportamento incolpevole del figlio per non aver raggiunto l’indipendenza economica.
E ciò al fine di evitare condotte parassitiche ai danni dei genitori.
Dunque, l’obbligo al mantenimento del figlio maggiorenne, trova un limite ineludibile nella conclusione del percorso educativo – formativo, presupposto che rende esigibile l’utile attivazione dello stesso nella ricerca di un lavoro, evitando di gravare ulteriormente sui genitori.
Laddove il figlio maggiorenne dimostri di essere in una condizione di non autosufficienza incolpevole – perché impegnato in un percorso formativo o perché ancora privo di un’occupazione, nonostante un’attiva e ragionata ricerca, il Giudice può riconoscergli un contributo al mantenimento. Ciò in ossequio alla funzione educativa del mantenimento e al principio di auto responsabilità.
L’ordinanza della Corte di Cassazione
Una recente pronuncia della Corte di Cassazione (ordinanza n. 2259/2024) ha stabilito che
“compete al giudice di merito:
- verificare la sussistenza del prerequisito della non autosufficienza economica, con opportuno bilanciamento rispetto ai doveri di autoresponsabilità che incombono sul figlio;
- modulare e calibrare la protezione in relazione alle peculiarità del caso concreto, nel rispetto del principio della proporzionalità;
- stabilire il contributo e la durata dell’obbligo di mantenimento.”
Prosegue la Suprema Corte affermando che “l’età è un parametro importante di riferimento e la valutazione deve essere condotta con rigore proporzionalmente crescente, in rapporto all’età dei beneficiari, in modo da escludere che tale obbligo assistenziale, sul piano giuridico, possa essere protratto oltre ragionevoli limiti di tempo e di misura, benché non possa ritenersi automaticamente cessato con il raggiungimento della maggiore età”.
Dunque gli aspetti cruciali su cui si sofferma la Cassazione sono il principio di autoresponsabilità e l’età.
Un adulto dovrebbe essere in grado di mantenersi autonomamente, senza dipendere dai genitori.
Il figlio dovrà provare che ci sono ragioni valide, non dipendenti dalla sua volontà, che gli impediscono di lavorare, solo in tal caso avrà diritto di vedersi riconosciuto il mantenimento.
Infatti l’ordinanza in esame fa gravare sul richiedente l’onere di dimostrare le condizioni che giustificano il diritto al mantenimento. Questo aspetto risulta decisivo, poiché è il figlio maggiorenne a dover provare di essersi concretamente attivato nella ricerca attiva di un lavoro
E’ bene sottolineare che una volta iniziata un’attività lavorativa, anche se precaria e con retribuzione modesta, il diritto al mantenimento cessa e non risorge in caso di perdita dell’occupazione o andamento negativo della stessa.
In conclusione l’obbligo di mantenimento non può protrarsi oltre certi limiti di tempo e ragionevolezza.