Può capitare che vi sia una situazione di incertezza circa la volontà degli eredi di accettazione dell’eredità.
In materia di eredità e successioni può capitare che alla morte del de cuius, i chiamati all’eredità non siano in possesso dei beni ereditari e vi sia una situazione di incertezza circa la loro volontà di accettazione dell’eredità.
Ciò comporta il sopravvenire di una situazione di giacenza, regolata dagli artt. 528 ss. c.c.
L’istituto disciplinato viene denominato eredità giacente e sebbene il legislatore non ne dia una definizione puntuale, è possibile individuare i presupposti in presenza dei quali deve essere nominato un curatore.
La giacenza, dunque, è una condizione che si verifica nelle situazioni di incertezza sulla destinazione del patrimonio ereditario e, ai sensi dell’art. 528 c.c., si rende necessaria quando – come anticipato – “il soggetto chiamato ad ereditare non ha accettato o non è nel possesso dei beni ereditari”.
In altre parole, con l’espressione eredità giacente si indica quel complesso di beni senza alcun titolare per il periodo intercorrente fra l’apertura della successione e l’accettazione dei chiamati all’eredità, qualora l’erede designato (o gli eredi designati) non entri(no) immediatamente in possesso del patrimonio del de cuius.
Si noti che l’eredità si dice “in giacenza” anche in mancanza di eventuali eredi o quando di questi non c’è notizia; mentre, al contrario, quando il chiamato (o uno dei chiamati) compie atti tali far presupporre un’accettazione anche solo tacita, non può più parlarsi di eredità giacente.
Relativamente a quanto appena scritto, può essere utile precisare che la dichiarazione di successione non può essere considerata come un’accettazione tacita dell’eredità, essendo “…un semplice adempimento di natura fiscale, privo di effetti civilistici” (Cass. sent. 21902/2011).
Diverso sarebbe parlare di eredità vacante – da non confondere con quella giacente – che è, invece, un istituto caratterizzato dalla certezza della mancanza di chiamati all’eredità e tale consapevolezza comporta la devoluzione di quest’ultima a beneficio dello Stato.
Nomina del curatore della Eredità giacente
Al verificarsi di questa condizione “temporanea” di giacenza, al fine di evitare che il patrimonio resti privo di tutela giuridica, è prevista la nomina di un curatore dell’eredità giacente stessa, che opera con funzioni di amministratore sotto la vigilanza del Giudice della successione, al quale è stato presentato un ricorso per l’apertura della procedura da parte di uno dei soggetti che vi abbia interesse.
Così facendo, vengono, dunque, tutelati due interessi meritevoli di tutela: da un lato, l’interesse del chiamato che non ha ancora accettato, ma che ha comunque interesse alla corretta gestione dell’asse ereditario per impedire che quest’ultimo venga depauperato; dall’altro, l’interesse dei creditori del de cuius a che venga preservata la loro possibilità di ottenere il pagamento di quanto dovuto.
Dopo aver spiegato cosa si intenda con l’espressione eredità giacente si può passare ad analizzare la figura del curatore dell’eredità, cioè quel soggetto chiamato a tutelare ed amministrare il patrimonio ereditario.
Costui può essere nominato direttamente del defunto nell’atto di testamento ovvero, in mancanza, la nomina viene effettuata dal Tribunale, su istanza delle persone interessate o, eventualmente, anche d’ufficio, tramite decreto, che verrà notificato alla persona designata e successivamente pubblicato nella Gazzetta Ufficiale (Art. 528, co 1° c.c.).
Al momento della nomina da parte del Giudice, il curatore deve prestare giuramento ex art. 193 disp. att. c.p.c., obbligandosi a custodire ed amministrare fedelmente i beni dell’eredità, esercitando il suo potere nei modi consentiti dalla legge. Il curatore ha un potere discrezionale, che non può, però, sfociare nell’arbitrio.
Il curatore della eredità ha il compito di salvaguardare gli interessi dell’eredità, occupandosi di farne l’inventario, rispondere ad eventuali istanze proposte contro di essa, amministrarla e devolverla allo Stato qualora non venisse accettata. Ha, inoltre, libertà di agire per quanto concerne l’ordinaria amministrazione – purché tutelando il patrimonio – mentre deve richiedere l’autorizzazione del Giudice qualora si rendesse necessario il compimento di atti di straordinaria amministrazione.
Il Giudice dispone di un generale dovere di vigilanza sull’operato e sulle attività del curatore, potendo chiedergliene conto in qualsiasi momento e – in caso di gravi inadempimenti – revocargli la nomina.
Con una ormai datata pronuncia, la Corte di Cassazione a Sezioni Unite (sent. n. 11619/1997) equiparava il curatore dell’eredità giacente ad un ausiliario del giudice, temporaneamente incaricato di una pubblica funzione nell’ambito di un processo e ricoprendo un ufficio di diritto privato, non nel proprio interesse, bensì nell’interesse generale, dei creditori, del chiamato e di altri eventuali terzi.
Il compenso per il curatore della Eredità giacente
Per l’attività svolta il curatore dell’eredità ha diritto ad un compenso ed al rimborso delle spese sostenute, che gli vengono liquidati con apposito decreto del Giudice che lo ha nominato, in seguito alla cessazione dell’amministrazione, con il subentro degli eredi in tutti i rapporti giuridici o, in alcuni casi, la devoluzione del patrimonio allo Stato.
In relazione alla quantificazione del compenso, non sono state dettate precise e puntali disposizioni da parte del legislatore, ma è ormai costante la giurisprudenza che riconosce ampi poteri discrezionali al Giudice delle Successioni, che terrà in considerazione molteplici parametri, quali la difficoltà degli atti compiuti o la durata dell’incarico.
Pertanto il giudice dovrà provvedere alla liquidazione del compenso a favore del curatore dell’eredità giacente secondo il suo prudente criterio, valutando la natura, l’entità ed i risultati delle prestazioni gestionali svolte, spiegando i criteri adottati e motivando la decisione.
Il compenso del curatore va a carico dell’attivo patrimoniale ereditario e, qualora non vi fosse un attivo liquido, andrà a carico della parte istante. Nel caso in cui, invece, la procedura sia stata avviata d’ufficio dal Tribunale, non gli verrà liquidato alcun compenso e il curatore potrà, al massimo, insinuarsi nelle procedure esecutive sui beni dell’eredità giacente dopo la chiusura della procedura per ottenere il compenso. In quest’ultimo caso, il compenso del curatore andrà pagato in prededuzione.
Dunque, di norma, il compenso del curatore dell’eredità giacente viene detratto dal complesso dei beni ereditari.
In conclusione
In conclusione, per quanto riguarda la durata dell’incarico, oltre alla suddetta ipotesi di revoca, l’art. 532 c.c. sancisce che il curatore cessi dalle sue funzioni quando l’eredità è accettata o, in mancanza di eredi o di accettazione da parte degli stessi, nel momento della devoluzione allo Stato decorsi 10 anni dalla morte del de cuius, realizzandosi in quest’ultima ipotesi l’istituto dell’eredità vacante di cui sopra.
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