Barriere architettoniche, solidarietà condominiale e uguaglianza sostanziale: Il punto con la Corte di Cassazione n. 7938/2017.
Il principio di uguaglianza sostanziale costituisce il presupposto logico su cui si fonda ciascun ordinamento democratico. La sua affermazione, oltre a completare e qualificare la garanzia dei singoli diritti fondamentali, giustifica anche la connotazione di un determinato regime politico. L’uguaglianza, rappresenta cioè il principale criterio per la determinazione della capacità giuridica dei cittadini, giungendo ad implicare una relativa parità nella disciplina delle situazioni e dei rapporti che da essa discendono.
Nel sistema italiano, il principio di uguaglianza sostanziale è espressamente previsto dall’art.3 della Costituzione, a mente del quale: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali (ndr principio di uguaglianza formale). È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del paese (ndr principio di uguaglianza sostanziale)”.
In ragione della sua particolare struttura precettiva, il disposto normativo di cui all’art. 3, impone al legislatore di riconoscere un’eguale dignità sociale a tutti i cittadini, pur nella varietà delle loro singole condizioni, con la conseguenza che devono considerarsi illegittime tutte le norme legislative, che collegano particolari distinzioni sociali a circostanze indipendenti dalla capacità e dal merito. In questa sua accezione, pertanto, il principio di uguaglianza si declina direttamente come canone di ragionevolezza, inteso nella sua dimensione aristotelica che impone di riservare un trattamento uguale a situazioni strutturalmente uguali e un trattamento diverso a situazioni strutturalmente diverse.
La Costituzione non mira, quindi, a realizzare un’uguaglianza assoluta, ma qualora esistano talune condizioni economico-sociali, che limitano in concreto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impone al legislatore di attivarsi per garantirne la rimozione.
Ne deriva che il principio di uguaglianza sostanziale non risulta minimamente vulnerato, qualora la legge introduca distinzioni – magari dettando norme speciali – che creino particolari condizioni di vantaggio, in difesa di alcune categorie di cittadini, affinché questi ultimi possano godere dei diritti fondamentali previsti dalla Costituzione. Tali differenziazioni, tuttavia, possono considerarsi legittime, soltanto se mirano ad assicurare il godimento, in condizioni di piena uguaglianza, dei diritti fondamentali codificati dalla Costituzione.
Tali principi, calati nella legislazione speciale, si riflettono nella legge n. 13 del 1989.
La legge, con i suoi dodici articoli ed i relativi regolamenti di attuazione (ex plurimis D.M. 236/89) hanno quale dichiarato obbiettivo quello di promuovere un’edilizia volta all’abbattimento delle cc.dd. barriere architettoniche e come tale accessibile, adattabile e visitabile da soggetti portatori di handicap (vd. art. 1, comma 2) .
Tali concetti sono stati ripresi e sviluppati dal Decreto Ministeriale 14 giugno 1989, n. 236, al quale è stato affidato il compito di specificarne il contenuto e di dettare le prescrizioni tecniche necessarie.
Ai sensi dell’art. 2 lettera A): “Per barriere architettoniche si intendono: a) gli ostacoli fisici che sono fonte di disagio per la mobilita’ di chiunque ed in particolare di coloro che, per qualsiasi causa, hanno una capacita’ motoria ridotta o impedita in forma permanente o temporanea; b) gli ostacoli che limitano o impediscono a chiunque la comoda e sicura utilizzazione di parti, attrezzature o componenti; c) la mancanza di accorgimenti e segnalazioni che permettono l’orientamento e la riconoscibilita’ dei luoghi e delle fonti di pericolo per chiunque e in particolare per i non vedenti, per gli ipovedenti e per i sordi”.
Lo stesso articolo, alle successive lettere G, H, I, specifica rispettivamente i concetti di: accessibilità; visitabilità e adattabilità.
- Per accessibilità (lettera G) si intende la possibilita’, anche per persone con ridotta o impedita capacita’ motoria o sensoriale, di raggiungere l’edificio e le sue singole unita’ immobiliari e ambientali, di entrarvi agevolmente e di fruirne spazi e attrezzature in condizioni di adeguata sicurezza e autonomia.
- Per la visitabilità (lettera H) si intende la possibilita’, anche da parte di persone con ridotta o impedita capacita’ motoria o sensoriale, di accedere agli spazi di relazione e ad almeno un servizio igienico di ogni unita’ immobiliare. Sono spazi di relazione gli spazi di soggiorno o pranzo dell’alloggio e quelli dei luoghi di lavoro, servizio ed incontro, nei quali il cittadino entra in rapporto con la funzione ivi svolta.
- Per adattabilità (lettera I) si intende la possibilita’ di modificare nel tempo lo spazio costruito a costi limitati, allo scopo di renderlo completamente ed agevolmente fruibile anche da parte di persone con ridotta o impedita capacita’ motoria o sensoriale.
Fissati gli obbiettivi il dettato normativo prevede che al fine del rispetto delle prescrizioni tecniche di cui all’art. 1 comma 2, la progettazione – sia essa relativa alla realizzazione dei nuovi edifici, ovvero alla ristrutturazione di interi edifici, ivi compresi quelli di edilizia residenziale pubblica, sovvenzionata ed agevolata – deve comunque prevedere: “a) accorgimenti tecnici idonei alla installazione di meccanismi per l’accesso ai piani superiori, ivi compresi i servoscala; b) idonei accessi alle parti comuni degli edifici e alle singole unita’ immobiliari; c) almeno un accesso in piano, rampe prive di gradini o idonei mezzi di sollevamento; d) l’installazione, nel caso di immobili con piu’ di tre livelli fuori terra, di un ascensore per ogni scala principale raggiungibile mediante rampe prive di gradini”.
Tali questioni sono state oggetto di attenzione da parte della Suprema Corte di Cassazione, la quale, con la recentissima pronuncia del 28 marzo 2017, n. 7938 ne ha ripreso la lettera interpretandola alla luce del principio di solidarietà sociale.
La Corte ha infatti chiarito che “in materia di eliminazione di barriere architettoniche, la legge 9 gennaio 1989, n. 13, costituisce espressione di un principio di solidarietà sociale e persegue finalità di carattere pubblicistico volte a favorire, nell’interesse generale, l’accessibilità agli edifici (…)”.
Nel caso oggetto della pronuncia, la Corte ha ritenuto che la sopraelevazione del preesistente impianto di ascensore ed il conseguente ampliamento della scala padronale, non possono essere esclusi unicamente in forza di disposizione del regolamento condominiale che subordini l’esecuzione di qualunque opera che interessi le strutture portanti, modifichi impianti generali o che comunque alteri l’aspetto architettonico dell’edificio all’autorizzazione del condominio, risultando una tale disposizione del regolamento condominiale recessiva rispetto all’esecuzione di opere indispensabili, ai fini di una effettiva abitabilità dell’immobile, pur nel rispetto dei limiti previsti dall’art. 1102 c.c. Nel compiere tale verifica, il giudice di merito dovrà tenere conto del principio di solidarietà condominiale, secondo il quale la coesistenza di più unità immobiliari in un unico fabbricato implica di per sé il contemperamento di vari interessi, tra i quali deve includersi anche quello delle persone disabili all’eliminazione delle barriere architettoniche, oggetto di un diritto fondamentale, che prescinde dall’effettiva utilizzazione da parte di costoro degli edifici interessati”.
“In sede di giudizio, compito del giudice, sarà anche quello di “tenere conto del principio di solidarietà condominiale, secondo il quale la coesistenza di più unità immobiliari in un unico fabbricato implica di per sé il contemperamento di vari interessi, tra i quali deve includersi anche quello delle persone disabili all’eliminazione delle barriere architettoniche, oggetto di un diritto fondamentale, che prescinde dall’effettiva utilizzazione da parte di costoro degli edifici interessati”.
Tale pronuncia si inserisce in un filone giurisprudenziale attento, come già in passato segnalato dalla Corte Costituzionale, all’attività di un legislatore che ha inteso operare un radicale mutamento di prospettiva rispetto al modo stesso di affrontare le problematiche de qua (vd. anche Cass. n. 18334/2012).
Difatti, la più recente legislazione relativa ai portatori di handicap – in particolare la legge 9 gennaio 1989, n. 13, e la legge 5 febbraio 1992, n. 104 (Legge-quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate) – “non si é limitata ad innalzare il livello di tutela in favore di tali soggetti, ma ha segnato, come la dottrina non ha mancato di sottolineare, un radicale mutamento di prospettiva rispetto al modo stesso di affrontare i problemi delle persone affette da invalidità, considerati ora quali problemi non solo individuali, ma tali da dover essere assunti dall’intera collettività” (Corte Costituzionale 10 maggio 1999, n. 167).
Alla luce di tali principi, i regolamenti condominiali, prosegue la Suprema Corte, per ciò che attiene la realizzazione di opere volte a garantire l’effettiva abitabilità dell’immobile, non posso imporre limitazioni ulteriori rispetto ai generali limiti stabiliti dall’art. 1102.
Essendo le disposizioni in materia di eliminazione di barriere architettoniche norme imperative ed inderogabili, direttamente attuative degli artt. 32 e 42 Cost., il rispetto dei regolamenti di cui sopra, risulta essere recessivo rispetto alla necessità di realizzare opere rilevanti ai fini di una effettiva abitabilità dell’immobile (es. l’ampliamento delle scale e l’adeguamento dell’ascensore). Si tratta infatti di opere indispensabili, dovendosi intendere per “effettiva abitabilità” una condizione abitativa che rispetti l’evoluzione delle esigenze generali dei condomini, o di chi comunque utilizza il condominio ed il rispetto del benessere abitativo e di piena utilizzazione della propria abitazione.
La Corte, poi, si sofferma sul principio di solidarietà condominiale, secondo il quale “in materia di condominio, le norme relative ai rapporti di vicinato, tra cui quella dell’art. 889 c.c. trovano applicazione soltanto in quanto compatibili con la concreta struttura dell’edificio e con la particolare natura dei diritti e facoltà dei singoli proprietari, considerando che la coesistenza di più appartamenti in un unico edificio implica di per sé il contemperamento di vari interessi al fine dell’ordinato svolgersi di quella convivenza che è propria dei rapporti condominiali, e ciò a maggior ragione laddove vengano in rilievo diritti fondamentali di persone disabili e comunque anziane”.
La Corte, quindi, non fa altro che riprendere il contenuto precettivo delle disposizioni normative richiamate (ut supra) reinterpretarlo alla luce del piu’ generale principio di solidarietà sociale (art. 2, comma 2 Cost.) al fine del concreto perseguimento di quell’obbiettivo di uguaglianza sostanziale che quasi trent’anni fa spinse il legislatore ad invertire fermamente la rotta.
Smettendo di pensare alla legislazione in materia di edilizia abitativa per disabili quale volta semplicemente ad innalzare il livello di tutela in favore degli stessi, il legislatore si è impegnato in una “rivoluzione copernicana” che affianca alle disposizioni generali tutta una serie di norme tecniche di dettaglio con l’unico obbiettivo di fissare uno standard al quale non è possibile più derogare.
Da ultimo si segnala che con la suindicata pronuncia la Corte ha, infine, interpretato in senso ampio il concetto di “disabilità”, alla luce della dimensione che ha assunto il diritto alla salute, non più intesa come semplice assenza di malattia, ma come stato di completo benessere fisico e psichico (ex multis Cass. 21748/2007), sì da doversi ritenere che la normativa concernente il superamento e l’eliminazione delle barriere architettoniche di cui alla L. n. 13 del 1989, art. 2 debba ritenersi applicabile anche alle persone che, in condizione dell’età avanzata, pur non essendo portatori di handicap, abbiano comunque disagi fisici e difficoltà motorie.
Studio Legale Foschini Pagani